Super User

Ciao, sono NIcolino Cese e mi occupo della manutenzione di questo sito.

Il Sito di Roio del Sangro

Nella media valle del Sangro, alle falde del Monte Lupara (1100 mt s.l.m.), sopra uno sperone di roccia, sorge Roio del Sangro, ridente paese dell'Abruzzo, in provincia di Chieti. Questa fortunata posizione fa di Roio un balcone dal quale si può ammirare uno splendido panorama che va dal Massiccio della Majella fino al mare. Nonostante la sua altitudine (840 mt. s.l.m.) gode di un clima temperato. La costa adriatica dista solo 60 km. e con meno di un'ora si raggiunge la più vicina spiaggia.

Riempi la montagna di gente

C’erano una volta , lassù tra nuvole stupende che...

Roio 1900

Roio 1900 Oggi vi proponiamo una ricostruzione di come...

Matrimonio Enrico e Rosaria

Sabato 14 Luglio nella chiesa di Roio, sotto un...

Elezioni Comunali 2012

Quest’anno era tempo di Elezioni Comunali anche a Roio...

Di Rienzo Mario

Alcuni articoli apparsi in questi giorni sui giornali statunitensi....

Il Cameriere del Furer

Tratto dalla rivista VdG Magazine nel quale si parla...

Consulta giovanile

2 Aprile 2011 - Nasce a Roio la "...

La pagella di Ettorino

La Pagella di Ettorino Questa pagella scolastica del 1934...

Ragazzi del 1960

E' festa per i ragazzi del 1960.

Asini a Roio

26 maggio 2010 Questa mattina abbiamo avuta una lieta sorpresa, dalle 8 alle 10 c.a. una diecina di asinelli hanno gironzolato per il paese allietando i pochi residenti presenti.

Un matrimonio

Finalmente un Matrimonio a Roio Il 10 Agosto 2010 si è celebrato nella nostra chiesa parrocchiale il matrimonio di " Rocco e Michell ".

I GiovaniScappano

Ed eccoci ancora presenti in una nuova classifica di cui non essere fieri, è pur vero che i piccoli borghi si spopolano sempre di più, ma si notano anche molte iniziative per invertire questa tendenza.    GIOVANI FACCIAMO QUALCOSA

OspedaleClimatizzato

Un estratto dal libro " I PROGETTISTI E LA LUNA" di Domenico Galluppi - Edizione: Nuova Gutemberg

L’autista salì con fatica - lentamente forse a causa di devastanti reumatismi mai conclamati - i due scalini della corriera; poi si stravaccò (i frentani dicono: come fune fradicia), sul sedile di guida, braccia e testa penzoloni. Sfinito, chiuse gli occhi: doveva pur riprendersi dallo sforzo.
I passeggeri avevano già preso posto alla meglio su quello sgangherato mezzo di trasporto, ufficialmente “navetta” per il capoluogo e per pochi interessati ad andare a Roma.
Ognuno valutava, tra sé e sé, le reali capacità del meschino a girare la chiave di accensione e addirittura di partire.
I numerosi fumatori passeggiavano sul loro pezzo di marciapiede, ognuno a difesa della propria postazione, come peripatetiche in attesa di un potenziale cliente; aspiravano lentamente, senza alcuna fretta la loro ultima sigaretta.
A un osservatore poco attento davano l’impressione, nell’insieme, che stessero fumando, nella disperata solitudine che precede la morte, l’ultima sigaretta prima della fucilazione avanti al plotone di esecuzione. Un vecchio accigliato, in disparte, giocherellava meditativo con il suo sigaro; era indeciso se spegnerlo o buttarlo.
L’esuberante pilota tentò, fino a riuscirci, di introdurre la chiave d’accensione; tutt’altro sforzo fu girarla in senso orario e avviare il rumoroso e puzzolente motore. I tabagici, come i condannati guardano il dito sul grilletto del milite che sparerà loro, fissarono ipnotizzati la mano sinistra di Nuvolari, quella il cui dito indice era abilitato, se dio voleva, a premere il bottone di chiusura delle porte.
I precari e troppo speranzosi passeggeri, dalle loro postazioni, vagliarono positivamente e in tempo reale, che esistesse la remota possibilità di portare a termine gli obiettivi che li avevano spinti a salire su quel mezzo.
Contestualmente all’azione di girare la chiave il misero mosse anche l’altro braccio; le attente canne fumarie da marciapiede aspirarono, con un sensuale bacio, dalla loro sigaretta l’ultima tirata e buttarono via l’adorata cicca arroventata dalla loro erotica ingordigia e dal carnale vizio. Il vecchio dal toscano antico decise, dopo un lungo travaglio interiore, di soffocarlo sul palo di ferro che sosteneva il segnale stradale di fermata autobus; controllò con il dito indice che il braciere fosse realmente spento e con delicatezza lo introdusse in un taschino del vetusto gilet.
In perfetta fila indiana salirono tutti a bordo mentre il pilota, dopo una breve e intensa vibrazione muscolare, girò la chiave e premette il pulsante di chiusura porta.
Con un evidente sforzo mollò il freno a mano: prima, freccia.
Le gambe, forse più agili della parte restante del corpo o forse per istinto, in autonomia attivarono le manovre necessarie a spostare il mezzo: frizione e vai con l’acceleratore causa di sobbalzi, stridori strani e sbuffi neri. Il fetore della corriera venne coperta dal respiro puzzolente di tabacco degli ultimi passeggeri che, seduti, respiravano come pesci fuor d’acqua: già mancava loro l’adorato gusto e la gaiezza inebriante della catramina e della nicotina. L’immancabile logorroico infranse il cigolante silenzio che si impossessa di ogni mezzo pubblico appena si avvia.
Tanto per rompere il ghiaccio si rivolse agli sconosciuti vicini commentando le condizioni atmosferiche per sgusciare come un’anguilla, alla squadra cittadina e quindi, con una abilità da prestigiatore e senza logica alcuna, alla politica; metà passeggeri erano interessati, fumatori e non. Quattro donne sedevano due di fronte alle altre due, divise da un lercio tavolo che, qualche ventennio prima, un giulivo buontempone perditempo aveva spolverato en passant.
Forse stregate dagli scossoni della diligenza, le persone in generale e le donne in particolare riescono a raccontare verità impossibili da estorcere loro in una normale conversazione; spalancano candidamente la loro anima, come in confessione o come cozze dentro la padella bollente.
La più loquace volle raccontare le disavventure del figlio, laureato alla “Boccona” (sì, proprio così: Boccona): . Lei, la madre del maschietto arrapato, l’aveva già inquadrata e sconsigliata al figlio con le solite inutili parole: . Il marito della veggente, moribondo, aveva atteso invano una visita della nuora; il figliolo sprovveduto si recava spesso dal padre e in concomitanza, la apatica e antipatica dama preferiva andare in pizzeria con le amiche. dedusse, senza moderazione, la madre chioccia. Dopo aver dato a lei un nipote e al figlio un erede, la canaglia decise che era giunto il momento di separarsi pretendendo che il marito le concedesse (e l’ottenne) la casa in cui abitava con il neonato e un bel po’ di soldi, sborsati dalla narratrice per non mandare il figlio, laureato alla Boccona, a dormire in macchina (anch’essa della moglie) e a mangiare: . I grevi commenti delle astiose signore sollevarono (ne aveva proprio bisogno) il morale alla gongolante primadonna che abbraccio l’uditorio con uno sguardo materno e riconoscente.
In un perfetto e scolastico esempio di preterizione (1) espirò, carezzandosi la fronte quasi a volerla spremere: ; così non fu e rivelò con orgoglio, allo stupefatto e partecipe pubblico, che stava recandosi dal figlio per una settimana, quella in cui il bocconiano doveva accudire il figliolo-erede:. E così i selezionati passeggeri, partecipi della discussione - affratellati in una cerimonia catartica di purificazione o forse in un rituale esoterico che prescrive, di solito, il sacrificio di un capro espiatorio - all’unisono catalogarono la giuliva separata, senza giri di parole o metafore: prostituta. Una donnetta sin ad allora silenziosa, fu assalita da un rigurgito di creatività ed etichettò, senza appello, la infedele con un “gran puttanaccia”; i membri della setta arricciarono il naso perché l’espressione era troppo… volgare.
Costei imperterrita, per dare maggior forza al suo dire spregiudicato e anche per recuperare il tempo del silenzio ormai perso, concluse con una irriferibile pornografica apoteosi di perversioni, previsioni e commenti sulle donne moderne che: . All’unisono concordarono che non esistono più nemmeno gli uomini, i veri uomini di una volta: che, al momento (per loro) opportuno, distribuivano senza controllo schiaffi, cazzotti e calci; la pornografa concluse che le donne vanno trattate con . A seguire intervenne la intellettuale del gruppo con: ; parafrasava un vecchio proverbio abruzzese sostituendo arditamente “i figli” con moje”. Ormai i fumatori avevano saturato con il loro orrendo respiro ogni pertugio dell’abitacolo; il timore di tutti era che questo puzzo avesse dato spunto all’autista per fare una penichella alla guida: i suoi pensieri e azioni erano inpenetrabili a causa degli occhiali indossati, neri neri, più adatti a un videoleso. Il suo corpo assecondava i sobbalzi del mezzo e lo sterzo si muoveva, liberamente di conseguenza.
Un ronzio lo scrollò o svegliò; con difficoltà distolse la mano sinistra appollaiata sullo sterzo e con vera, raffinata classe, estrasse dalla elegantissima e un po’ lesa (è un eufemismo – lo dico per coloro privi di senso dell’umorismo) giacca di servizio, un cellulare il cui modello non è più ricercato nemmeno dai collezionisti ma forsennatamente dai musei.
< Ahoo! Chi è?> esclamò il docente universitario declassato ad autista
< Ahum! ‘Nzi capisc nu cazzh. Chi sì?>…….
< Ahum! cummare ‘Ntunietta, non prendevo la linea.
< Ahum! Dimmi commara>…
< Ahum! Ah! ?Ntonie ‘n’é riminuto innotte!?>…
< Ahum! Forzh ‘zhè durmite sopra l’apetta!>……
< Ahum! Ah, sta aesse l’apetta!>…..
< Ahum! Forze ‘zè ‘mbriacate e sta sotte a cacche fratt>……
< Ahum! Ah, tu pins ca ‘zà addurmite ‘nghi kella zoccole di cunateme?> ….
< Ahum! Ah! Li si vist a ‘ndrà!?!?>…….
< Ahum! Chella puttanaccia disgraziate!!! Frateme sta a lu Belge a schiattà lu sangh a la minihiere e sà vacca ‘zi fa ‘ngroppà da lu prime che i li cerch>…..
< Ahum! Eh che taja dice cummà? Cacche jurre chiame frateme e ja ricconte tutte e cuscì la finimme ‘nghi sta cummedie. Puttanaccia. Scrofa!!! Menu male ca chelle bonaneme dh mamme e tate ‘zhannh morte!!! Ahum! Non avessero supportate stù disunore>……
< Ahum! Ciao cummà, ci sintime uje, kandarivinghe!>.
Guardò nello specchietto interno e raccolse la muta partecipazione al suo dolore da parte di tutti i passeggeri. Qualcuno, “rattuso” seriale, indagò con discrezione per appurare il nome di questa donna così disponibile, di che paese fosse e senza alcuna malizia se, casualmente, qualcuno dei passeggeri a bordo avesse, sul proprio cellulare, il numero della fedifraga. Sfiduciato da tante miserie umane da lui ascoltate e trasportate, il fratello del cornuto accese una sigaretta senza filtro, alla faccia della imposizione VIETATO FUMARE e alla faccia dei passeggeri fumatori.
Con raffinata perizia riusciva a espirare da un piccolo varco aperto alla sinistra delle labbra serrate e con una lunga e collaudata tecnica, infilava alla perfezione le sottili spirali di fumo nel pertugio del finestrino aperto alla sua sinistra. Poiché la classe non è acqua, raccolse con due dita, dal polveroso cruscotto, una altrettanto impolverata caramellina alla menta che introdusse delicatamente in bocca. Illanguiditi dal rollio e dal frastuono, affratellati in questa estemporanea avventura di viaggio, ognuno confidava ai vicini i fatti propri e i veri motivi del viaggio.
Motivi per la maggior parte futili ma non per la intelletuale a bordo che chiese - rivelando in tal modo a tutti la cagione del suo viaggio - all’afflitto autista, di fare una fermata extra avanti all’ospedale “climatizzato”. Scese regalmente i tre scalini; raccolse e accolse gli auguri di tutti i passeggeri e in sovrappiù, anche quelli dell’autista che, con gli occhiali funerei sulla glabra fronte, era stato attratto improvvisamente dal lato b della signora che, vezzosa, lasciò intendere di apprezzare lo sguardo lascivo.
Nessuno, nonostante la ripetitività dei viaggi sempre per la stessa città, aveva avuto l’acutezza indispensabile o i titoli accademici necessari per leggere la scritta a caratteri giganteschi posta sul tetto dell’immenso nosocomio: OSPEDALE CLINICIZZATO Al capolinea, la stessa misteriosa casualità che li aveva affastellati dentro quel mezzo, impose ad ognuno di riporre furtivamente, nell’invisibile zaino della individualità, il pesante fardello dei propri pensieri abbandonati sì, per una manciata di ore, al libero pascolo ma intimamente valutati i più seri tra quelli, goffi e grotteschi, che vagavano sfrenati e affrancati tra i lerci sedili del mezzo. Si separarono l’un dagli altri come le navi si staccano dal porto e abbandonano la sicurezza della banchina.
Tirati fuori a forza dalla effimera bolla del tempo in cui erano immersi, ogni passeggero riprese il suo eterno solitario cammino, stanco portatore di celate passioni e angosce condivise in quel confessionale di gomma, vetro e metallo.
Ognuno alla ricerca del primigenio rifugio ove rintanarsi, celato tra le inesplorate e pericolose periferie dell’anima. Avevano condiviso, per centoventi minuti, l’equipollente esperienza metafisica (2) di astronauti forzati negli spazi angusti della stessa navicella, proiettati verso il medesimo obiettivo ma con motivazioni e fini diversi.
Sotto la pensilina, chi ne ebbe voglia, accese una sigaretta. Qualcuno tentò, inutilmente, l’ultima ed estrema investigazione per avere maggiori informazioni sulla cognata dell’autista che già sonnecchiava, seduto al posto di guida della corriera, ormai con il motore caldo ma spento. Il vecchio tirò fuori dal taschino del gilet il mozzicone di sigaro; un attento passeggero raccolse la sua silenziosa richiesta di fuoco: con un “prospero” glielo accese.
L’anziano uomo ringraziò, soffiò sul braciere, lo attizzò. Poi, lentamente, si allontanò.
(1) Per coloro che, come me, non hanno fatto il liceo; Preterizione: Figura retorica che consiste nell'affermare di non voler dire una cosa, proprio mentre la si dice.
(2) La metafisica (don Settimio perdonami!!!) è il tentativo di trovare e spiegare la struttura universale e oggettiva che si ipotizza nascosta dietro l'apparenza dei fenomeni.
Sorge l'interrogativo se una tale struttura, oltre a determinare la realtà, sia in grado di determinare il nostro stesso modo di conoscere, attraverso idee e concetti che trovano corrispondenza nella realtà; al di là, sopra, oltre.

Pascoli in Abruzzo

Per coloro che non sono riusciti a vederlo su RAI1 nella trasmissione Tv7 la scorsa settimana, riproponiamo questo stupendo documentario che rappresenta in ogni particolare citato la situazione che si è venuta a creare e continua a ripresentarsi sul nostro territorio ogni anno senza che nessuno se ne faccia carico in modo serio. Solo nella primavera del 2017 senza essere minimamente informati, e per un caso fortuito, ci si accorgeva che ben 103 ettari di terreni di privati cittadini erano stati occupati per essere utilizzati solo una volta l'anno, nel periodo del taglio del foraggio, per usufruire dei fondi comunitari (AGEA). A seguito di questi fatti nel mese di agosto dello stesso anno è stata fatta una denuncia controfirmata da diversi proprietari che ad oggi non hanno avuto nessun riscontro, ma come è possibile che a distanza di un anno: Procura della Repubblica, Questura, AGEA non se ne occupino con maggiore serietà, in fin dei conti i soldi elargiti sono di tutti noi. L'aspetto che preoccupa poi di questa storia sta nel fatto che anche i terreni comunali seguono la stessa sorte, vengono affittati a personaggi sconosciuti con contratti anche pluriennali (quando andrebbero fatti di anno in anno) che portano il bestiame solo per un paio di mesi al pascolo....al sol fine di giustificare la richiesta di contributi. Così facendo non si fa altro che impoverire il terreno e lasciarlo all'invasione di arbusti che ormai da qualche anno sono diventati alberi. Quanti di noi ricordano quando sui nostri terreni pascolavano le mucche di Argentino prima e del figlio Armando dopo, i pascoli erano sempre praticabili ed addirittura si riusciva ad andarci per funghi, non mancava mai poi che al nostro rientro per le vacanze come segno di gratitudine ci venisse consegnato qualche caciocavallo.
Ora erba alta dappertutto ed il bosco che avanza, ma questo è salvaguardare il territorio?

Reddito di Residenza attiva

Perché non riproporlo in abruzzo ed a Roio in particolare ?

11 Settembre 2019

Come ogni anno gli abitanti di Castiglione, Monteferrante e Roio si ritrovano sulla montagna per condividere in questa festività un po di buonumore ed allegria..

SOLIDARIETA'

Riportiamo di seguito quanto ci ha trasmesso Gianni Carnevale in merito  "alla bella iniziativa di solidarietà promossa questa estate 2019 da Mario de Lucia (Mario di Perla) e Pasqualino Cavorso. Mario ha magnificamente restaurato il portone di ingresso della chiesa e Pasquale gli ha fatto da “perpetuo” ospitandolo a pranzo giornalmente durante tutto il periodo dei lavori. Peraltro Mario ha dovuto lavorare alacremente per poter restituire il portone restaurato in tempo utile per lo svolgimento del matrimonio di Rocco ed Aram. Mario non ha voluto essere pagato ma insieme a Pasquale, come segno di ringraziamento da parte della comunità roiese per il lavoro prestato, ha promosso una iniziativa solidale per una raccolta di fondi da destinare all’AIRC e alla ONLUS “il sentiero” che si occupa di assistenza a persone con problemi di alcolismo. Complessivamente sono stati raccolti 950 euro,"

Feste2019

Il 13 Agosto si è svolta come tutti gli anni la processione con la statua di San Filippo.
Con nostro rammarico si notano sempre meno paesani,
Speriamo nel futuro in una maggiore partecipazione alla vita religiosa e sociale del paese.