L'Indipendente

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Da " L’INDIPENDENTE " SABATO 30 OTTOBRE, 1993 

Chi sono e come vivono gli chef di nobili imprenditori MILANO.

Si incontrano ogni mattina in un bar di via della Spiga, a Milano. Si raccontano sorseggiando un caffè e inghiottendo una brioche. Sagne a pez, zuppa di cipolle, timballi, branzino al cartoccio, filetto alla Carlo Magno, soufflé, semifreddo, parfait, profiterole, gelato al forno. Difficile stargli dietro, è un variare di colori, di gusti e di profumi. Te li immagini col cappellone bianco in testa nella cucina di un grande ristorante dei quartieri alti. E invece ti spiegano che sono dei cuochi segreti. Quelli "personali", che hanno passato una vita intera rinchiusi nelle cucine delle grandi famiglie italiane. Rizzoli, Crespi, Borromeo, gli Invernizzi dei formaggini, gli Agusta degli elicotteri, i Mentasta della San Pellegrino, gli Zamberletti dei farmaci. Vengono tutti dall'Abruzzo, dai paesini della Val di Sangro. Si fanno chiamare "monzù" (dal francese Monsieur) come erano chiamati nei secoli XVIII e XIX i capicuochi delle case aristocratiche napoletane e siciliane, loro antenati. Sono lì, lì che ti vorrebbero raccontare vita e miracoli di una professione che sta per tirare l'ultimo respiro, e poi ci ripensano. Le famiglie non ci tengono a tanta pubblicità. Forse, se la prenderebbero a male. "Le cose di casa restano in casa" afferma Michele Sammarone, chef degli Invernizzi. Comme il vous plait, Monsieur dei Crespi, dei Rizzoli, dei conti Agusta, e dei conti Panza di Biumo, parla invece e tenta di spiegare: "Vede, il rapporto tra padrone e cuoco è un rapporto delicato: perché il padrone sa che la sua salute è nelle mani dello chef. Il problema è che per fare bene questo mestiere ti devi immedesimare nella persona per la quale cucini. Guardi come si veste, come agisce: solo così puoi capire che cosa vuole nel piatto". Inevitabile quindi che il cuoco conosca bene il suo "padrone". Talvolta però ci si può sbagliare. Beneduce ne sa qualcosa. "Un giorno il conte Corrado Agusta aveva invitato a cena una decina di persone: e io avevo scolpito nel ghiaccio un bellissimo cigno sul quale avevo messo un trionfo di gelato. Il cigno era illuminato da sotto con i colori della bandiera italiana. Beh, il conte divenne tutto rosso e me lo fece portare mia. Dovetti servire il gelato nelle coppette. Era superstizioso: non mangiava volatili e anche un cigno di ghiaccio gli dava fastidio". Il conte Agusta detestava anche le fritture e soprattutto non poteva soffrire aglio e cipolla - racconta il cuoco - Però io avevo trovato un escamotage si inorgoglisce lo chef - Il pesce, per esempio, di cui il conte andava pazzo, invece di usare il court bouillon lo facevo cuocere al vapore con alghe marine. Allora naturalmente erano pulite". Anche nei dolci il conte Agusta era esigente: "Non li voleva troppo bagnati: la zuppa inglese doveva essere asciutta". Il conte Panza di Biumo, invece, aveva la fissa dell'insalata: un pranzo senza quel piatto (un metro e mezzo di diametro) con sopra, disposte a mosaico, ben 70 varietà di insalate,non era un pranzo: crescione, cerfoglio, dieci tipi di lattuga, borragine, e altri ancora."Erodiventato un esperto di insalate" tiene a precisare Beneduce.I Rizzoli erano invece grandi divoratori di carne e di timballi di pasta, ma anche di fritti, soprattutto di baccalà. "Della cucina francese non gliene importava nulla. A loro piacevano un bel piatto di tagliatelle fumanti e d'inverno la selvaggina: lepre in salmì, galantina di fagiano, patè di beccaccia". Detestavano mangiare fuori, preferivano ricevere in casa, c'era quindi tanto lavoro, ricorda Beneduce. Dai Crespi invece si mangiavano tanti asparagi e di lago, assicura lo chef lavorò agli inizi degli _ Settanta. "Avevano un lato nel varesotto - racconta Beneduce e lì allevavano il pesce Miranda, fatto venire dalla Gran Bretagna. Erano ghiotti di anguille e capitoni. Avevano anche una fattoria in Toscana, da dove arrivava la frutta e la verdura due volte a settimana". E nel 1993 che cosa cucina il cuoco dei Crespi? Un secco "no comment" è stata la risposta di Domenico Napoleone. Ma c'è chi giura che, oggi come allora, a tavola dei Crespi si deve arrivare puntuali come una volta. Chi arriva in ritardo si becca la portata in corso, anche se si tratta del dolce. In poche parole ultimo arrivato, ultimo servito. In casa Borromeo non apprezzano molto i primi piatti. Mario La Penna, cuoco del principe Gìlberto, propone carrè di vitello alla Orloff, Gurigun pescato al largo dell'Isola Bella (proprietà di famiglia sul Lago Maggiore) bollito o al forno. Stanno molto attenti alla forma: le pietanze nel piatto devono essere disposte in modo elegante, spiega La Penna. "I tempi sono cambiati - lo riprende al volo Antonio Armeno, che ha lavorato dai Borromeo, ma al servizio della madre di Gilberto - la principessa veniva a trovarmi in cucina e mentre chiacchieravamo del più e del meno le facevo pulire gli asparagi, sbucciare i piselli". Piano, piano Armeno, che lavora attualmente dai Bonomi-Bolchini, estrae i ricordi più belli: "Un giorno mentre stavo preparando il pranzo nella cucina di Isola Bella, decisi di andare a pescare: appoggiai la canna sul molo e tornai in cucina a metter su il pranzo. Un'oretta dopo ritornai sul molo e vidi che la canna era curva: mi misi a correre. Tirai su: e al posto del pesce, vidi una scarpa. Dal balcone vidi la principessa che rideva insieme agli altri. Mi aveva fatto uno scherzo". La professione in famiglia è anche questo. Armeno è un cuoco spontaneo: lavoro e vita personale per lui si sono sempre amalgamati come la pasta col pomodoro. Ha addirittura chiamato sua figlia Arabella, dal nome della figlia di Herbert Von Karajan, i l direttore d'orchestra da cui è stato per quasi due anni.Il direttore andava pazzo per la pizza e la zuppa di pesce, la Bouillabaisse. E stato anche il cuoco di Raul Gardini "Tanta selvaggina e polenta con il gorgonzola, ma anche ribollita alla toscana: questi erano i piatti preferiti dell'ex, patron della Ferruzzi". E adesso dai Bonomi-Bolchini? "Un'infinità di piatti preferiti: più uno ne inventa, più la signora è contenta. È una donna imprevedibile.. Il menù del giorno me lo devo sognare la notte prima" racconta Armeno. Qualche esempio? Rane con polenta. Ormai le tazzine di caffè sono vuote. Dal bar di via delle Spiga, i cuochi escono per andare a fare la spesa e poi subito alla maison a preparare il pranzo. Chissà fino a quando durerà. Sono ormai in pochi, sono anziani e i loro figli fanno altri lavori. " È una professione in via di estinzione" dice malinconico Beneduce. Basta chiamare Ottavio e Rosita Missoni per accorgersene. Avete un cuoco di famiglia? Sì. Ma non fa solo la cuoca. Si chiama Ligaya Mateo e viene dalle Filippine. "Sono diventata un .c brava cuoca, grazie al signor Ottavio - dice Ligaya - è lui che mi ha insegnato a cucinare i 1 pesce. E la figlia Angela mi ha spiegato come fare il pesto. Ora faccio di testa mia con i libri di cucina". Dai Nonino delle grappe, invece, cucina l'anziana tata della signora Gianola. Tutti cibi rigorosamente friulani. E poi due, tre volte al mese prepara Gianni Cosetti, chef del ristorante Roma. Gnocchi di zucca, Cjalsons (ravioloni con ripieno di ortiche, pane nero, uvetta e cannella): i primi piatti e le verdure sono le delizie di casa Nonino. Questo è il trend: catering, ristoranti e grandi alberghi. Ormai i vecchi dinosauri si sono rassegnati: "Prenderemo 1a pensione e torneremo al paese nella valle di Sangro, dove ci aspetta la statua del cuoco". Almeno quella rimarrà. Ma chissà per quanto.

Letto 11613 volte Ultima modifica il Mercoledì, 17 Aprile 2019 19:26

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