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OspedaleClimatizzato

Un estratto dal libro " I PROGETTISTI E LA LUNA" di Domenico Galluppi - Edizione: Nuova Gutemberg

L’autista salì con fatica - lentamente forse a causa di devastanti reumatismi mai conclamati - i due scalini della corriera; poi si stravaccò (i frentani dicono: come fune fradicia), sul sedile di guida, braccia e testa penzoloni. Sfinito, chiuse gli occhi: doveva pur riprendersi dallo sforzo.
I passeggeri avevano già preso posto alla meglio su quello sgangherato mezzo di trasporto, ufficialmente “navetta” per il capoluogo e per pochi interessati ad andare a Roma.
Ognuno valutava, tra sé e sé, le reali capacità del meschino a girare la chiave di accensione e addirittura di partire.
I numerosi fumatori passeggiavano sul loro pezzo di marciapiede, ognuno a difesa della propria postazione, come peripatetiche in attesa di un potenziale cliente; aspiravano lentamente, senza alcuna fretta la loro ultima sigaretta.
A un osservatore poco attento davano l’impressione, nell’insieme, che stessero fumando, nella disperata solitudine che precede la morte, l’ultima sigaretta prima della fucilazione avanti al plotone di esecuzione. Un vecchio accigliato, in disparte, giocherellava meditativo con il suo sigaro; era indeciso se spegnerlo o buttarlo.
L’esuberante pilota tentò, fino a riuscirci, di introdurre la chiave d’accensione; tutt’altro sforzo fu girarla in senso orario e avviare il rumoroso e puzzolente motore. I tabagici, come i condannati guardano il dito sul grilletto del milite che sparerà loro, fissarono ipnotizzati la mano sinistra di Nuvolari, quella il cui dito indice era abilitato, se dio voleva, a premere il bottone di chiusura delle porte.
I precari e troppo speranzosi passeggeri, dalle loro postazioni, vagliarono positivamente e in tempo reale, che esistesse la remota possibilità di portare a termine gli obiettivi che li avevano spinti a salire su quel mezzo.
Contestualmente all’azione di girare la chiave il misero mosse anche l’altro braccio; le attente canne fumarie da marciapiede aspirarono, con un sensuale bacio, dalla loro sigaretta l’ultima tirata e buttarono via l’adorata cicca arroventata dalla loro erotica ingordigia e dal carnale vizio. Il vecchio dal toscano antico decise, dopo un lungo travaglio interiore, di soffocarlo sul palo di ferro che sosteneva il segnale stradale di fermata autobus; controllò con il dito indice che il braciere fosse realmente spento e con delicatezza lo introdusse in un taschino del vetusto gilet.
In perfetta fila indiana salirono tutti a bordo mentre il pilota, dopo una breve e intensa vibrazione muscolare, girò la chiave e premette il pulsante di chiusura porta.
Con un evidente sforzo mollò il freno a mano: prima, freccia.
Le gambe, forse più agili della parte restante del corpo o forse per istinto, in autonomia attivarono le manovre necessarie a spostare il mezzo: frizione e vai con l’acceleratore causa di sobbalzi, stridori strani e sbuffi neri. Il fetore della corriera venne coperta dal respiro puzzolente di tabacco degli ultimi passeggeri che, seduti, respiravano come pesci fuor d’acqua: già mancava loro l’adorato gusto e la gaiezza inebriante della catramina e della nicotina. L’immancabile logorroico infranse il cigolante silenzio che si impossessa di ogni mezzo pubblico appena si avvia.
Tanto per rompere il ghiaccio si rivolse agli sconosciuti vicini commentando le condizioni atmosferiche per sgusciare come un’anguilla, alla squadra cittadina e quindi, con una abilità da prestigiatore e senza logica alcuna, alla politica; metà passeggeri erano interessati, fumatori e non. Quattro donne sedevano due di fronte alle altre due, divise da un lercio tavolo che, qualche ventennio prima, un giulivo buontempone perditempo aveva spolverato en passant.
Forse stregate dagli scossoni della diligenza, le persone in generale e le donne in particolare riescono a raccontare verità impossibili da estorcere loro in una normale conversazione; spalancano candidamente la loro anima, come in confessione o come cozze dentro la padella bollente.
La più loquace volle raccontare le disavventure del figlio, laureato alla “Boccona” (sì, proprio così: Boccona): . Lei, la madre del maschietto arrapato, l’aveva già inquadrata e sconsigliata al figlio con le solite inutili parole: . Il marito della veggente, moribondo, aveva atteso invano una visita della nuora; il figliolo sprovveduto si recava spesso dal padre e in concomitanza, la apatica e antipatica dama preferiva andare in pizzeria con le amiche. dedusse, senza moderazione, la madre chioccia. Dopo aver dato a lei un nipote e al figlio un erede, la canaglia decise che era giunto il momento di separarsi pretendendo che il marito le concedesse (e l’ottenne) la casa in cui abitava con il neonato e un bel po’ di soldi, sborsati dalla narratrice per non mandare il figlio, laureato alla Boccona, a dormire in macchina (anch’essa della moglie) e a mangiare: . I grevi commenti delle astiose signore sollevarono (ne aveva proprio bisogno) il morale alla gongolante primadonna che abbraccio l’uditorio con uno sguardo materno e riconoscente.
In un perfetto e scolastico esempio di preterizione (1) espirò, carezzandosi la fronte quasi a volerla spremere: ; così non fu e rivelò con orgoglio, allo stupefatto e partecipe pubblico, che stava recandosi dal figlio per una settimana, quella in cui il bocconiano doveva accudire il figliolo-erede:. E così i selezionati passeggeri, partecipi della discussione - affratellati in una cerimonia catartica di purificazione o forse in un rituale esoterico che prescrive, di solito, il sacrificio di un capro espiatorio - all’unisono catalogarono la giuliva separata, senza giri di parole o metafore: prostituta. Una donnetta sin ad allora silenziosa, fu assalita da un rigurgito di creatività ed etichettò, senza appello, la infedele con un “gran puttanaccia”; i membri della setta arricciarono il naso perché l’espressione era troppo… volgare.
Costei imperterrita, per dare maggior forza al suo dire spregiudicato e anche per recuperare il tempo del silenzio ormai perso, concluse con una irriferibile pornografica apoteosi di perversioni, previsioni e commenti sulle donne moderne che: . All’unisono concordarono che non esistono più nemmeno gli uomini, i veri uomini di una volta: che, al momento (per loro) opportuno, distribuivano senza controllo schiaffi, cazzotti e calci; la pornografa concluse che le donne vanno trattate con . A seguire intervenne la intellettuale del gruppo con: ; parafrasava un vecchio proverbio abruzzese sostituendo arditamente “i figli” con moje”. Ormai i fumatori avevano saturato con il loro orrendo respiro ogni pertugio dell’abitacolo; il timore di tutti era che questo puzzo avesse dato spunto all’autista per fare una penichella alla guida: i suoi pensieri e azioni erano inpenetrabili a causa degli occhiali indossati, neri neri, più adatti a un videoleso. Il suo corpo assecondava i sobbalzi del mezzo e lo sterzo si muoveva, liberamente di conseguenza.
Un ronzio lo scrollò o svegliò; con difficoltà distolse la mano sinistra appollaiata sullo sterzo e con vera, raffinata classe, estrasse dalla elegantissima e un po’ lesa (è un eufemismo – lo dico per coloro privi di senso dell’umorismo) giacca di servizio, un cellulare il cui modello non è più ricercato nemmeno dai collezionisti ma forsennatamente dai musei.
< Ahoo! Chi è?> esclamò il docente universitario declassato ad autista
< Ahum! ‘Nzi capisc nu cazzh. Chi sì?>…….
< Ahum! cummare ‘Ntunietta, non prendevo la linea.
< Ahum! Dimmi commara>…
< Ahum! Ah! ?Ntonie ‘n’é riminuto innotte!?>…
< Ahum! Forzh ‘zhè durmite sopra l’apetta!>……
< Ahum! Ah, sta aesse l’apetta!>…..
< Ahum! Forze ‘zè ‘mbriacate e sta sotte a cacche fratt>……
< Ahum! Ah, tu pins ca ‘zà addurmite ‘nghi kella zoccole di cunateme?> ….
< Ahum! Ah! Li si vist a ‘ndrà!?!?>…….
< Ahum! Chella puttanaccia disgraziate!!! Frateme sta a lu Belge a schiattà lu sangh a la minihiere e sà vacca ‘zi fa ‘ngroppà da lu prime che i li cerch>…..
< Ahum! Eh che taja dice cummà? Cacche jurre chiame frateme e ja ricconte tutte e cuscì la finimme ‘nghi sta cummedie. Puttanaccia. Scrofa!!! Menu male ca chelle bonaneme dh mamme e tate ‘zhannh morte!!! Ahum! Non avessero supportate stù disunore>……
< Ahum! Ciao cummà, ci sintime uje, kandarivinghe!>.
Guardò nello specchietto interno e raccolse la muta partecipazione al suo dolore da parte di tutti i passeggeri. Qualcuno, “rattuso” seriale, indagò con discrezione per appurare il nome di questa donna così disponibile, di che paese fosse e senza alcuna malizia se, casualmente, qualcuno dei passeggeri a bordo avesse, sul proprio cellulare, il numero della fedifraga. Sfiduciato da tante miserie umane da lui ascoltate e trasportate, il fratello del cornuto accese una sigaretta senza filtro, alla faccia della imposizione VIETATO FUMARE e alla faccia dei passeggeri fumatori.
Con raffinata perizia riusciva a espirare da un piccolo varco aperto alla sinistra delle labbra serrate e con una lunga e collaudata tecnica, infilava alla perfezione le sottili spirali di fumo nel pertugio del finestrino aperto alla sua sinistra. Poiché la classe non è acqua, raccolse con due dita, dal polveroso cruscotto, una altrettanto impolverata caramellina alla menta che introdusse delicatamente in bocca. Illanguiditi dal rollio e dal frastuono, affratellati in questa estemporanea avventura di viaggio, ognuno confidava ai vicini i fatti propri e i veri motivi del viaggio.
Motivi per la maggior parte futili ma non per la intelletuale a bordo che chiese - rivelando in tal modo a tutti la cagione del suo viaggio - all’afflitto autista, di fare una fermata extra avanti all’ospedale “climatizzato”. Scese regalmente i tre scalini; raccolse e accolse gli auguri di tutti i passeggeri e in sovrappiù, anche quelli dell’autista che, con gli occhiali funerei sulla glabra fronte, era stato attratto improvvisamente dal lato b della signora che, vezzosa, lasciò intendere di apprezzare lo sguardo lascivo.
Nessuno, nonostante la ripetitività dei viaggi sempre per la stessa città, aveva avuto l’acutezza indispensabile o i titoli accademici necessari per leggere la scritta a caratteri giganteschi posta sul tetto dell’immenso nosocomio: OSPEDALE CLINICIZZATO Al capolinea, la stessa misteriosa casualità che li aveva affastellati dentro quel mezzo, impose ad ognuno di riporre furtivamente, nell’invisibile zaino della individualità, il pesante fardello dei propri pensieri abbandonati sì, per una manciata di ore, al libero pascolo ma intimamente valutati i più seri tra quelli, goffi e grotteschi, che vagavano sfrenati e affrancati tra i lerci sedili del mezzo. Si separarono l’un dagli altri come le navi si staccano dal porto e abbandonano la sicurezza della banchina.
Tirati fuori a forza dalla effimera bolla del tempo in cui erano immersi, ogni passeggero riprese il suo eterno solitario cammino, stanco portatore di celate passioni e angosce condivise in quel confessionale di gomma, vetro e metallo.
Ognuno alla ricerca del primigenio rifugio ove rintanarsi, celato tra le inesplorate e pericolose periferie dell’anima. Avevano condiviso, per centoventi minuti, l’equipollente esperienza metafisica (2) di astronauti forzati negli spazi angusti della stessa navicella, proiettati verso il medesimo obiettivo ma con motivazioni e fini diversi.
Sotto la pensilina, chi ne ebbe voglia, accese una sigaretta. Qualcuno tentò, inutilmente, l’ultima ed estrema investigazione per avere maggiori informazioni sulla cognata dell’autista che già sonnecchiava, seduto al posto di guida della corriera, ormai con il motore caldo ma spento. Il vecchio tirò fuori dal taschino del gilet il mozzicone di sigaro; un attento passeggero raccolse la sua silenziosa richiesta di fuoco: con un “prospero” glielo accese.
L’anziano uomo ringraziò, soffiò sul braciere, lo attizzò. Poi, lentamente, si allontanò.
(1) Per coloro che, come me, non hanno fatto il liceo; Preterizione: Figura retorica che consiste nell'affermare di non voler dire una cosa, proprio mentre la si dice.
(2) La metafisica (don Settimio perdonami!!!) è il tentativo di trovare e spiegare la struttura universale e oggettiva che si ipotizza nascosta dietro l'apparenza dei fenomeni.
Sorge l'interrogativo se una tale struttura, oltre a determinare la realtà, sia in grado di determinare il nostro stesso modo di conoscere, attraverso idee e concetti che trovano corrispondenza nella realtà; al di là, sopra, oltre.

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