La Chiesa
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Presepe 2007
L'ispirazione del presepe di quest'anno è venuta pensando a tutti i lavoratori roiesi (di ieri e di oggi) che sono partiti dal paese per andare in altre nazioni o regioni d'Italia è un modo per ricordare le loro sofferenze. te loro fatiche e l'amore che li ha sostenuti nel sacrificio per la propria famiglia.
Assieme a questi roiesi il pensiero va a tutto il Mondo dei lavoratori con l'augurio che Gesù nasca e continui a nascere nella risposta concreta alle aspettative di rispetto e giustizia contro lo sfruttamento e il precariato ricordati dal Papa nel suo messaggio del 19 ottobre 2007 in occasione del centenario della prima settimana sociale dei cattolici italiani.
Auguri di Buon Natale a tutti.
La Chiesa (...) se da una parte riconosce di non essere un agente politico, dall'altra non può esimersi dall'interessarsi del bene dell'intera comunità civile. in cui vive ed opera, e ad essa offre il suo peculiare contributo formando nelle classi politiche e imprenditoriali un genuino spirito di verità e di onestà, volto alla ricerca del bene comune e non del profitto personale.
(dal messaggio di Benedetto XVI per il centenario della prima settimana sociale dei cattolici italiani, 19.10.2007)
La cronaca quotidiana mostra che la società del nostro tempo ha di fronte molteplici emergenze etiche e sociali in grado di minare la sua stabilità e di compromettere seriamente il suo futuro. (...) Quando la precarietà del lavoro non permette ai giovani di costruire una loro famiglia, lo sviluppo autentico e completo della società risulta seriamente compromesso.
I cattolici italiani sappiano cogliere con consapevolezza la grande opportunità che offrono queste sfide e reagiscano non con un rinunciatario ripiegamento su se stessi, ma, al contrario, con un rinnovato dinamismo, aprendosi con fiducia a nuovi rapporti e non trascurando nessuna delle energie capaci dí contribuire alla crescita culturale e morale dell'Italia.
Dal messaggio di Benedetto XVI per il centenario della prima settimana sociale dei cattolici italiani, 19.10.2007)
Presepe 2006
Il Natale è sempre stata l'occasione per ricordare che ogni uomo o donna incontrati, sono fratelli: dagli immigrati che approdano sulle coste d'Europa alla ricerca di una speranza, agli ebrei, ai musulmani e a chi professa altre religioni. Ricordando il suo recente viaggio in Turchia,
durante l'udienza del mercoledì 6 dicembre 2006, il papa Benedetto XVI ha detto:La divina Provvidenza mi ha concesso di compiere un gesto inizialmente non previsto e che si è rivelato assai significativo: la visita alla celebre Moschea blu di Istambul. Sostando qualche minuto in raccoglimento in quel luogo di preghiera, mi sono rivolto all'unico Signore del cielo e della terra, Padre misericordioso dell'intera umanità. Possano tutti i credenti riconoscersi sue creature e dare testimonianza di vera fraternità . Facciamo nostro questo augurio e desiderio di fraternità che spinge ad acogliere tutti in modo concreto e autentico rompendo ogni meschino egoismo per instaurare in noi e nella società, una vera ansia di giustizia e amore. Buon Natale a tutti.
Presepe 2005
Gesù è nato,più di 2000 anni fa, in una stalla: uno dei luoghi frequentato dai poveri, da quelli che vivevano al margine della società ebraica. Non si può pensare che se nascesse oggi sceglierebbe uno dei barconi degli immigrati? Oppure una cittadina terremotata del Pakistan? O un ospedale... là dove si riversano e si incontrano sofferenze di ogni tipo?
Benedetto XVI ha detto che il vero regalo per il Natale è l'amore... quello disinteressato, quello che non chiede il tornaconto, quello che sa esprimere solidarietà nei confronti di qualsiasi essere umano.
La piccola sorella Megdeleine diceva: << Nessuna razza, nessun popolo, nessun essere umano deve essere escluso dal tuo amore, sia quelli delle terre più lontane che quelli degli ambienti più ostili e meno accessibili >>.
Facciamo nostre queste due benefiche provocazioni trasformandole in gesti di fraternità...di amore concreto.
Buon Natale.
Presepe 2004
Lui e i suoi seguaci ispirati dal suo messaggio. Qui si è tentato di rappresentare il ricordo della nascita di Gesù bambino assieme alla nascita in Cristo (nella fede ) di S. Francesco unendo i pastori che vanno verso Cristo al Santo di Assisi che altrettanto ha fatto attraverso vari episodi della sua vita.
La prima scena è quella della scelta della povertà da parte di S. Francesco dinanzi al vescovo della città: il gesto fisico e simbolico è stato quello dell’abbandono degli abiti e del prendere il “sacco” della penitenza. Vuole ricordarci l’attaccamento a ciò che vale davvero nella vita: una vita fatta d’amore spesa per gli altri con grande spiritosi di libertà,senza paure ed egoismi.
La seconda scena è quella della foresta. Questo è posto famoso perché qui il santo compose il bellissimo Cantico di frate Sole: un modo di concepire il rapporto con la natura rispetto e amorevole che oggi, con lo sfascio dell’ambiente provocato dall’inquinamento, dovremmo ricordare con attenzione. La scena centrale (dove c’è la capanna fatta di pietre) rappresenta I'Averna La capanna è stata fatta qui perché in quel posto S. Francesco ha ricevuto il dono delle stimmate in un un periodo davvero difficile della sua vita.
Sull’Averna dunque, il santo si e unito a Cristo ancora più fortemente e Dio attende ognuno di noi sul monte spirituale delle Beatitudini vissute per donarci la stessa felicità che pervase l'esistenza di S. Francesco. La scena successiva rappresenta il viaggio che S. Francesco fece per incontrare il temibile Saladino capo dei musulmani dell'epoca. Il fine era quello di evitare la guerra tra cristiani e islamici per il sepolcro di Gerusalemme. La visita. anche se non ottenne l'esito sperato perché vi fù la guerra. un frutto lo diede: da quel momento i francescani divennero l'unica presenza cristiana ammessa nel mondo islamico. Questo episodio sta a ricordarci il dovere di lottare per la pace sempre e comunque e con la speranza che sostenne il santo nel suo viaggio. L'ultima scena rappresenta il famoso episodio del Lupo di Gubbio. Questi non era un animale ma era un famoso brigante che S. Francesco riuscì a convertire alla vita del Vangelo. Anche noi dobbiamo sforzarci di convertire sempre di più la nostra vita verso Cristo e ad avere la stessa speranza francescana che ogni uomo possa cambiare in meglio la sua esistenza tornando ad amare così come ci ha insegnato il Dio fatto uomo. Santo Francesco, spinto dal zelo della fede di Cristo e dal desiderio, del martirio, andò una olia oltremare con dodici suoi compagni santissimi. decisi ad andare dal sultano di Babilonia (...) E quando fui davanti a lui. Santo Francesco. Ammaestrato dallo Spirito Santo. Predicò così divinamente della fede di Cristo, e disse che per quella fede essi sarebbero stati disposti ad entrare nel fuoco. (...) I ) Da quel punto, in poi il sultano lo udiva volentieri, e lo pregò che tornasse spesse volte da lui, concedendo liberamente a Lui e ai suoi compagni di poter predicare ovunque piacesse loro. I diede loro, un lasciapassare, per il quale non potessero essere offesi da persona. Avuta dunque questa licenza così libera, santo Francesco mando quei suoi eletti compagni. a due a due, in diverse parti dei Saraceni a predicare la lede di Cristo. (Fioretti di san Francesco, capitolo 24) Dal discorso di san Francesco al lupo di Gubbio: <
Presepe 2003
Poi Iddio cosi' parlò a Noè e ai suoi figli: (...) << Questo sarà il segno del patto che io faccio tra me e voi e tutti gli esseri viventi che sono con voi, per le generazioni future: io pongo il mio arco nelle nubi e servirà di segno del patto fra me e la terra. . Quando accumulerò le nubi sopra la
terra e si vedrà l'arcobaleno nelle nubi, allora io mi ricorderò del patto fra me e voi e tutti gli esseri viventi di ogni specie, e le acque non diventeranno più un diluvio per distruggere ogni carne >>
(Genesi 9,8.12-15)
Altro...
Il vecchio portone della chiesa di San Nicola prima del restauro.
La Vecchia Campana
Mentem santam spontaneam
Honorem deo et patriae liberationem
xps rex venit in pace deus
Et homo factus est.Verbum caro factum est
Nicolaus de Crapracotta me fecit A.D 1566
Vecchia campana!
Guardandoti nella tua nuova sede inattiva, senza voce, coperta dalla tua patina e dalle rughe del tempo, torna nel mio ricordo l’attività della tua giovinezza, nella quale hai brillantemente assolto alla attenta guida del popolo di Roio,di cui sei e resterai la madre affettuosa, attenta e premurosa.
Circa 500 anni fa quel Nicolaus di Crapacotta realizzò nei pressi del campanile lo stampo della tua elegante figura e nella colata aggiunse alla lega di metallo e di bronzo l’oro delle fedi offerte dalle madri di Roio per ingentilirne il suono; venisti poi collocata nella tua nicchia campanaria, lanciasti la tua voce per annunciare l’assunzione del tuo ruolo di scrupolosa, attenta, precisa, allegra, afflitta, ed, al momento giusto, rabbiosa e reattiva madre di tutti i cittadini.
A quell’epoca, in cui l’orologio non esisteva, tu iniziasti ad impartire ai cittadini le regole della loro vita. All’alba non hai mai smesso di suonare la sveglia con i tuoi rintocchi del mattutino per affrettare l’avvio ai campi dei lavoratori. Più tardi le tue lente, sommesse note, chiamavano in chiesa le massaie rimaste a casa, per partecipare alla messa di ringraziamento al Signore per il nuovo giorno concesso.
Ed a mezzogiorno i tuoi rintocchi di suono a festa annunziavano ai lavoratori dei campi l’arrivo del canestro del primo pasto; ed erano in molti ad esclamare "voce santa" ed agli stessi, i tuoi rintocchi di "vent’unore" annunciavano la fine della giornata di lavoro ed essi iniziavano la lunga marcia per partecipare all’ultimo pasto del giorno.
Ricordi quanta frugalità e semplicità governavano quei pasti? Unico vassoio della minestra in cui affondavano le posate dei commensali, assenza di bicchieri ed unica fiasca del vino che veniva avviata periodicamente ai commensali dal capofamiglia cui spettava la prima bevuta. Non esisteva secondo piatto, ma una soddisfacente disponibilità di pane di grano o di granone.
E dopo il pasto la stanchezza del giorno conciliava il sonno e tu non tralasciavi, con i rintocchi dell’Ave Maria, di dare a ciascuno il tuo bacio di madre affettuosa con l’augurio della buona notte.
E non dimentico la gioia della tua voce nei giorni di festa, quando chiamavi a collaborare le tue sorelle minori ed insieme recitavate un inno la cui armonia trasmetteva ai tuoi figli un momento di felicità nel loro costante tormento di lotta per l’esistenza.
E quella stessa armonia di voci tu la recitavi in tutte le circostanze giulive, alle nascite, ai matrimoni all’avvio ed al ritorno dei pellegrini dai luoghi sacri che annualmente raggiungevano a piedi, per rinnovare le preghiere ai Santi protettori.
Ma tu, madre affettuosa, sensibile al dolore della morte, non trascuravi di parteciparvi, unendo al pianto dei parenti le lugubri note dei tuoi rintocchi cui aggregavi quelle delle consorelle per recitare l’addio agli scomparsi.
Era l’armonia della tua voce festosa e delle tue consorelle che accompagnava la processione del 2 Luglio sulla montagna, ove i robusti montanari portavano, a spalla. Le pesanti statue di S. Filippo e della Madonna.
Lo squillante scampanio durava per tutto il percorso e riprendeva, dopo la messa al campo, all’inizio del ritorno in cui la processione scendeva dal lato opposto a quello dell’andata. Nell’attraversare i campi ondeggianti del grano colorato in fase di maturazione, il sacerdote impartiva la sua benedizione e chiedeva al Signore l’allontanamento delle calamità ed alle recitazione del parroco il coro compatto del popolo recitava il " libera nos, Domine".
E sempre tu, attenta sentinella della sicurezza del tuo popolo, quando della radiosa giornata d’inizio estate si faceva minacciosa la nuvola scura della grandine, non esitavi a gridare al cielo l’urlo della tua indignazione e la frequenza e la potenza della tua voce dissipava la lugubre minaccia e ritornava il sereno. Allora il Signore, soddisfatto, elogiava la solerzia del tuo energico intervento.
Ed allora tu , nella notte, in cui il popolo dormiva il sonno del naturale riposo, vedevi ergersi al cielo le fiamme sinistre dell’incendio che minacciava la sua vita , lo svegliavi con l’affrettata frequenza delle tue note per gridare l’allarme al pericolo incombente. Ed il popolo accorreva tutto e dava luogo ad una condotta umana che portava l’acqua dall’unica fontana e dagli abbeveratoi agli uomini in prima linea che fronteggiavano le fiamme.
Qualcuno nella generosa lotta veniva inghiottito dal fuoco, ma il dolore della sua scomparsa non arrestava l’azione di lotta che perseverava con più rabbia fino alla vittoria
Col tuo amore di madre sei stata ancora tu a chiamare a raccolta il popolo per gettare le basi della tua solidarietà nei confronti dei più deboli e di quelli impoveriti dalle calamità.
Nacque il "Monte frumentario" che fu, per tanti anni, la banca della generosità, sempre pronta ad aiutare i figli in difficoltà.
Ricordi i giorni che precedevano le feste natalizie? Allora molti Roiesi , per integrare il modesto bilancio familiare, praticavano il commercio dell’olio. A dorso di mulo, partivano alla fine della semina in Ottobre e rientravano per le feste natalizie col gruzzolo del guadagno commerciale. Arrivavano alle mulattiere di Agnone ed il più delle volte all’imbocco della Valmara, incontravano la tormenta di neve. La "Voria" quel veloce quanto freddo vento del Nord, sollevava da terra nuvole di neve aggiungendola a quella che cadeva dal cielo. Le strade, cancellate dal manto nevoso, erano invisibili e quasi sempre la nebbia completava la triste situazione. In tale circostanza non si può tenere gli occhi aperti ed è difficoltoso respirare, la furia del vento e l’asprezza degli aghi di neve costringono a proteggere le vie respiratorie con un lembo della giacca e gli occhi con la falda del cappello; con tutto ciò è ancora necessario tenere la testa girata per attutire l’impatto con la bufera. Non esiste in tali circostanze possibilità di orientamento allora intervenivi tu, madre campana, a spandere nel frastuono della bufera il tuo urlo accorato, poderoso e continuo. Giungeva all’orecchio dei tuoi figli in difficoltà e questi lo seguivano, confortati dalla tua assistenza. Raggiungevano il paese, ti passavano davanti, ma non avevano la forza di pronunciare parole di ringraziamento che, in compenso, rimanevano stampate nel loro cuore e ti volevano bene.
Ora, vecchia madre campana, hai esaurito il tuo ruolo, non partecipi alle gioie, ai dolori, alle apprensioni del tuo popolo, ma sei sempre viva nel ricordo e nell’affetto di coloro che hanno vissuto con te; per questi è gioia grande constatare che il loro affetto è stato ereditato dai loro figli i quali hanno avuto la sensibilità di toglierti da una nicchia nascosta, per esporti nell’atrio della nostra chiesa all’affetto e all’ammirazione delle nuove generazioni che apprenderanno la tua storia e perciò continueranno a volerti bene.
Ora che sei in pensione, buon riposo, madre campana!
Filippo Di Carlo
Ricordi di Filippo Di Carlo: La vecchia campana
Roio del Sangro Agosto 2000